CACTUS, L’ANTENATO E IL BIG-BANG VEGETALE
In un punto imprecisato, nell’era indifferente del non ancora, intervenne il ploppettare del caos, plot…
plot… come il battito del tamburo, sempre più ritmo, sempre più regolare e nel suo rimbombo nacque il
silenzio dove, come in terra deserta e desolata, stanato e formato dai battiti del caos, se ne uscì,
gonfiandosi e crescendo con il ritmo, la pianta primordiale, l’archetipo del Tutto, il Cactus progenitore,
l’Antenato che dagli antichi fu chiamato Ghoetix.
Ghoetix era lì, piantato nel caos, non in quiete perché incapace di moto, ma il ritmo ora fremeva e premeva
dentro di lui, finché la continenza scoppiò e fu una esplosione di spine; fu il Big-Bang da cui nacque il
mondo, o meglio, l’esplosione multiversa di mondi.
I semi dell’immaginazione vegetale si sparsero per ogni dove e così l’Antenato-archetipo iniziò a viaggiare
creando per ogni dove figure di sue variazioni.
Fu il fiorire di vite parallele: quella dei miti, della scienza, della filosofia, della musica, delle arti;
un ininterrotto fiorire di ordini del mondo come tanti ponti gettati sopra il ribollire del caos.
A quali ponti affideremo il nostro cammino?
Oggi c’è un ritorno al mondo vegetale, quasi un richiamo al dimenticato cactus Antenato da cui è nato il
Tutto, è la memoria che riemerge dall’oblio, così come il gesto della braccia alzate del tifoso rammemora
senza saperlo le incisioni preistoriche degli omini festanti, tanto simili alle braccia verdi di Ghoetix,
protese ad accompagnare l’esplosivo urlo spinoso del Big-Bang.
CACTUS, OVVERO, DEL COLONIZZATORE
C’erano i saputi, quelli che sapevano quali fossero i terreni buoni per la semina, costoro lo dicevano ai
loro figli e i figli dei figli dei figli seguivano i consigli dei padri.
Ma uno no, uno chissà per quale astrale influsso non ne volle sapere: quei campi fertili, sempre più
fertili, secolarmente fertili nella loro noiosa e ripetitiva abitudine parevano dirgli: “guarda che sei nato
solo per far da ingranaggio alla macchina della produzione”.
Fu così che un bel giorno mentre guardava con torvo occhio le garrule ondeggianti fronze di verzura prese su
il proprio bagaglio e se ne andò.
Non fu facile, ma cammina cammina, sfuggì alle lusinghe di terreni che ostentavano sfacciatamente le loro
grasse zolle, alle erbette molli di rugiada, sempre più annoiato e oppresso da tanta abbondanza, finché
giunse in un angolo inesplorato di mondo. Finalmente! Terra arida, vergine, dove nessuno dei saputi avrebbe
osato buttare i propri semi, ma lui tolse dalla sacoccia l’unico che s’era portato e, alla faccia di chi sa
come si sta al mondo, lo gettò con gesto di liberatoria sfida.
E accadde quello che nessuno dei saputi, chiusi nell’ignoranza della abitudine, sapeva, cioè che i vegetali
hanno una grande capacità di immaginazione che consente loro di adattarsi e creare nuove forme, come quella
che apparve agli occhi stupefatti del seminatore eretico, il cactus colonizzatore.
Semi diversi sparse questa meraviglia di pianta, portati dall’aria, dalle correnti del mare, dagli uccelli
migratori, semi che assunsero forme e colori diversi, a coprire deserti, coste marine, a decorare broli e
giardini, ma tutti recavano in sé, nella loro singolarità, l’impronta nativa del nuovo, del mai visto,
dell’originale, così come i personaggi che dal cactus giramondo hanno preso le caratteristiche.